venerdì 5 marzo 2010

Limitless undying love which shines around me like a million suns, it calls me on and on across the universe.

La scenografia è sparita sotto una coltre di fumo grigio-spento. Un sipario piuttosto triste, dopo giorni di commedia.
Il tetto del teatro ha qualche tegola in meno così che, ad ogni acquazzone, un po' d'acqua finisce per picchiettare anche sul palco.
La sceneggiatrice è seduta per terra. L'acqua scivola sulle spalle. I fogli si bagnano. Pozzanghere di lucida angoscia disseminate per la sala. Le luci spente. Tutte, tranne quella sopra la sua testa, che è grande, ma riesce ad illuminarla meno di una lampadina rotta e che funziona a intermittenza. Un intenso odore di scatoloni impolverati inonda la sala e la fa starnutire.
Per alcune allergie non c'è cura... Ma quelle scatole le lascia lì, perché sembra essere la via più facile: pulirle comporterebbe troppo tempo ed una vicinanza controproducente. Una vicinanza che normalmente potrebbe evitare. E poi, quelle scatole le vede solo sporadicamente: che senso avrebbe spendere tutte quelle energie, solo per qualche raro e breve momento di apnea? Dopotutto, se esce all'aria aperta, con il taccuino e l'ombrello, può riprendere a respirare. Lentamente, certo; ma può farlo.
Allora perchè aspettare?
Ci sono mostri all'opera, per le strade.
Lei si ferma per qualche istante.
La pioggia scroscia forte sull'ombrello bucato e le gocce rimbalzano sul casco da astronauta che si porta sempre dietro.
Le nuvole non si vedono o ce n'è una unica?
Gli alberi si piegano e i grattacieli li seguono.
Sono scivoli pericolosi, che portano sull'erba bagnata e su un asfalto che ormai conosce a memoria.
Cade anche del cotone.
Povera sceneggiatrice, con quell'ombrello rotto si prenderà sicuramente un raffreddore.
Poco male... Non fosse che certi eventi atmosferici portano pensieri pesanti; troppo pesanti per essere affrontati con una misera giacca ed un casco per l'universo.
Fa la stessa strada ad occhi chiusi, con la bocca tappata. Lo fa da qualche anno ormai, ma in quelle condizioni riesce a pensare solo a poche cose.
Sospira all'angolo della strada e, vicina ad uno specchio sull'asfalto, si accende una Winston.
Che sceneggiatrice malinconica e solitaria.
Passa inosservata nelle vie deserte di una città monotona e grigio topo: così triste che l'abbandonerebbe su due piedi, senza pensarci.
Alza gli occhi con flemma e sorride al cotone di Marzo. Perché non dovrebbe cadere. E perchè il suo modo di farlo è bizzarro e senza regole.
Poi su quel percorso monotono e melmoso, nota per la prima volta qualcosa di diverso.
Su quel percorso incontra un lupo accovacciato sotto ad una panchina.
Per la prima volta - sorride - ha di fronte un bivio, la possibilità di scegliere, cambiare percorso, rallentare la marcia, fermarsi.
Freno e frizione.
Freno e frizione.
I lupi mordono, è vero. E il bivio sta nel passare avanti, incurante del cambiamento; o fermarsi senza aver paura dei graffi e dei morsi che quello sconosciuto potrebbe darle.
I lupi mordono, è vero; ma se li guardi negli occhi e fai capire loro che non hai alcuna paura del loro fiero e impassibile silenzio, allora si arrendono.
Non pretendono granché, se non la presenza del tuo odore che parla molto meglio della tua bocca. Che dice molto più delle tue parole.
I lupi sono artisti critici, decadentisti profondi. Se sai ascoltarli, ti regalano intere enciclopedie zeppe di poesie.
Il fatto è che non tutti li ascoltano.
E chi non la fa, è poi lo stesso che invece crede di avere l'arte necessaria per arrivare al senso di ogni parola, di ogni silenzio. E invece si ferma alla mera superficialità, la mera facciata, la prima buccia che si può vedere dall'esterno.
La sceneggriatrice si ferma e sta lì. In silenzio, si siede sulla panchina bagnata su cui non smettono di cadere lacrime e cotone.
Toglie il casco e lo appoggia sulle gambe; ma tiene l'ombrello ben saldo.
Ha dei buchi, è vero, ma è comunque una magra difesa dall'alluvione.
Il lupo sporge cauto il muso dalla panchina e appare di fianco alle sue gambe.
"Dovrai uscire, prima o poi...", gli dice.
E allunga una mano nella sua direzione.
Non la muove.
Sta solo lì, ferma a mezz'aria. Un invito, non una forzatura.
Il lupo s'arresta.
Indetreggiare o andare avanti?
Rimanere sulla difensiva o rischiare di brutto?
Passa il muso sotto la mano della sceneggiatrice, con una lentezza inaudita. E' ancora fortemente difeso dalla panchina, ma si lascia accarezzare.
Una zampa fuori. Le altre tre ben salde nell'alcova che lo protegge cautamente.
Guarda la donna con la sigaretta e con gli occhi sembra sorriderle.
Un tiro a pieni polmoni.
"...ti aspetterò, fino a rivedere il sole."

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