lunedì 8 marzo 2010

I gatti cadono sempre in piedi.


Pur preferendo la prosa, anche i gatti sanno essere discreti poeti decadenti.

Si fanno ammaliare da parole colorate come sangue e tulipani da fumare.
Amano il sole, ma vi si nascondono. Amano la notte, ma da essa fuggono.
Scrivono con le unghie uragani di parole, sputano simboli e collegamenti che nella loro testa hanno tutto quel senso che specchi esterni non sanno riflettere, in tutta la loro retorica stranezza. Sputano parti di loro che le reti bucate della maggior parte dei pescatori non possono trattenere.
Cadono sempre in piedi. Sia letteralmente che metaforicamente.
Utilizzano linguaggi del tutto particolari. Il linguaggio del corpo, in primis. E gli occhi hanno il primato.
Quando compongono, hanno bisogno di una solitudine tutta loro, composta solo di profumi inebrianti e note di violino e pianoforte, che creano l'atmosfera adatta alla creazione di un nuovo miagolio storto e stonato.
Non parlano delle loro conclusioni con nessuno.
E quando miagolano, è per attirare l'attenzione di chi - secondo loro - è in potenza di capire le varie musicalità e tutti i possibili ritmi delle loro rime.
E sfuggono alla semplicità, si buttano di testa e di pancia su cose sconosciute.
Bramano la libertà, l'indipendenza, ma hanno un disperato bisogno di calore.
La pelliccia, a volte, non basta proprio.

Ogni tanto, è bello disquisire con Baudelaire.

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