martedì 13 aprile 2010

La felicità - Fabio Volo.


"E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi.
La felicità non e' quella che affanosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente, non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...
La felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose;
e impari che il profumo del caffe' al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.

E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi. E impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno. E che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane. E impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore. E impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.

E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità."

lunedì 12 aprile 2010

Here today gone tomorrow.


Un giorno come un altro.
Stamattina ho visto un ciliegio in fiore... Non potevo sentirne il profumo attraverso le mura e i vetri scolastici, ma il suo colore... Cazzo, il suo colore. Era di un rosa acceso che si sposava con il blue infinito che gli colava addosso da nubi biancastre che spumeggiavano qua e là. Non potevo che perdermi a guardare fuori dalla finestra, col naso all'insù... Mentre la prof. spiegava la poetica di Pascoli e le figure retoriche.
E anche se quel cielo non faceva che rapirmi, ogni tanto mi fermavo a guardare quel guscio pallido e fittizio che copriva - adesso non più- quel misero e stupido tentativo di fuggire dalle situazioni sgradevoli, con gli stessi metodi passati. La solita porta di sicurezza, come mi piace chiamarla. La solita scappatoia semplice. E immatura.
Credo sia il primo tuffo di pancia nel passato, dopo qualche tempo. Il primo tuffo di pancia che, però, non mi ha scossa come credevo avrebbe fatto. Anzi, dirò: mi ha aperto gli occhi e donato una nuova serenità che non pensavo di trovare così. Solitamente, dopo i ricordi, c'è un momento di stallo seguito dalla paranoia e dall'orgoglio che richiama sull'attenti.
Invece... Invece, questa volta, sorrido.
E sorrido davvero.
Sorrido anche adesso, quando il passato sembra entrare prepotentemente attraverso un cellulare, attraverso dei messaggi normalissimi, ma che non so che effetto mi abbiano fatto.
Mi ricordano di quand'ero più piccola e l'ingenuità non lasciava ancora troppo spazio a quel cinismo che poco tempo dopo avrei conosciuto fin troppo bene.
La stranezza è che non fa male.
Non fa male, cazzo, anzi!
Non faccio altro che sorridere.
E mi fa strano farlo così, nell'armonia dei pensieri, mentre ritorno all'infanzia.
Mi fa strano perchè, qualche tempo fa, le ferite avrebbero bruciato ancora. E ancora. E ancora.
Avrebbero fatto il male fottuto che facevano sempre, ogni volta che mi avvicinavo per spolverare quei maledetti scatoloni nell'angolo più buio del cervello.
Ora tendo quasi a non ricordare nemmeno più, perché a quel tempo fecero così tanto male. Perché... Perché. I mille perché che rimangono a volteggiare fra le sinapsi sconclusionate.
Chissà... A fine mese entrerò con prepotenza nell'acqua gelida.
Con prepotenza nei ricordi di quell'alienazione.
La pancia sentirà l'impatto.
Lo sentirà tutto.
E sarà utile.
Utile più di tutte le parole che si sono susseguite, più di tutti i pensieri, di tutte le paure, di tutte le paranoie e tutto quello che mi ha reso la disillusa che fino a qualche tempo fa cercava di eliminare dal suo vocabolario interno ogni parola facesse rima con emozione. Con il lasciarsi andare.
Ora, invece, sto bene.
Forse, a quel tempo, sbagliai anche io. Non posso dirlo con certezza.
Credo di aver sbagliato nel reagire così, come un riccio stupido e cocciuto. Magari le cose sarebbero andate diversamente.
Tuttavia... Tuttavia, sono contenta di non essere rimasta chiusa in quello stupido e piccolo posto. Sono contenta di non essermi fossilizzata nella mentalità di paese insieme a tutte le sue stronzate. Sono contenta di essere cresciuta così tanto. Fiera di come ho reagito. Di aver seguito il cervello.
Dopotutto, non ho mai saputo far buon viso a cattivo gioco.
Mi si legge in faccia quello che provo. Se sia un bene o un male, beh... Questo non l'ho mai capito.
Certo è che adesso vivo. E vivo sul serio.
Con me stessa e con gli altri.
E le amicizie non fanno male come a quel tempo. E nemmeno il lasciarsi andare.
Non so, stasera sento la primavera e i violini nel cuore.

mercoledì 10 marzo 2010

"Il genio delle masse", di Charles Bukowski.



"C'è abbastanza perfidia, odio, violenza, assurdità,
nell'essere umano medio,
per fornire qualsiasi esercito in qualsiasi
giorno.

E i Migliori Assassini Sono Quelli
Che Predicano Contro.
E I Migliori a odiare sono quelli
che predicano AMORE
E i migliori in guerra
- In definitiva - Sono quelli che predicano PACE

Quelli Che Predicano DIO,
hanno bisogno di Dio.
Quelli Che Predicano Pace,
non Hanno Pace.
Quelli Che Predicano Amore
non Hanno Amore.

ATTENTI AI PREDICATORI
Attenti ai sapienti.
Attenti a quelli che
LEGGONO SEMPRE LIBRI
Attenti a quelli che o detestano
la povertà o ne sono orgogliosi
ATTENTI a quelli pronti ad elogiare
Poichè Hanno Loro Bisogno Di ELOGI In Cambio
ATTENTI a quelli pronti a censurare:
Hanno Paura di quello che non sanno
ATTENTI A Quelli Che Cercano Continuamente
La Folla;
Da Soli Non Sono Nessuno

ATTENTI:
Agli Uomini Comuni
Alle Donne Comuni
ATTENTI Al Loro Amore
Il Loro E' Un Amore Comune, Che Mira
Alla Mediocrità.

Ma C'è Il Genio Nel Loro Odio
C'è abbastanza Genio Nel Loro
Odio Per Ucciderti, Per Uccidere
Chiunque.

Non Volendo La Solitudine
Non Concependo La Solitudine
Cercheranno Di Distruggere
Tutto Ciò che si Differenzia Da Loro Stessi

Non Sapendo Creare arte
Non Capiranno l'arte

Considereranno Il Loro Fallimento
Come Creatori
Solo Come Un Fallimento
Del Mondo

Non Essendo In Grado Di Amare Pienamente
Crederanno Il Tuo Amore Incompleto

E POI ODIERANNO TE.

E Il Loro Odio Sarà Perfetto:

Come un diamante Splendente,
Come un coltello,
Come una montagna,
Come una tigre,
Come cicuta,

La Loro arte più raffinata".


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Nb. Oggi ho scelto l'argomento per la tesina. E questa poesia non mancherà di certo.

lunedì 8 marzo 2010

I gatti cadono sempre in piedi.


Pur preferendo la prosa, anche i gatti sanno essere discreti poeti decadenti.

Si fanno ammaliare da parole colorate come sangue e tulipani da fumare.
Amano il sole, ma vi si nascondono. Amano la notte, ma da essa fuggono.
Scrivono con le unghie uragani di parole, sputano simboli e collegamenti che nella loro testa hanno tutto quel senso che specchi esterni non sanno riflettere, in tutta la loro retorica stranezza. Sputano parti di loro che le reti bucate della maggior parte dei pescatori non possono trattenere.
Cadono sempre in piedi. Sia letteralmente che metaforicamente.
Utilizzano linguaggi del tutto particolari. Il linguaggio del corpo, in primis. E gli occhi hanno il primato.
Quando compongono, hanno bisogno di una solitudine tutta loro, composta solo di profumi inebrianti e note di violino e pianoforte, che creano l'atmosfera adatta alla creazione di un nuovo miagolio storto e stonato.
Non parlano delle loro conclusioni con nessuno.
E quando miagolano, è per attirare l'attenzione di chi - secondo loro - è in potenza di capire le varie musicalità e tutti i possibili ritmi delle loro rime.
E sfuggono alla semplicità, si buttano di testa e di pancia su cose sconosciute.
Bramano la libertà, l'indipendenza, ma hanno un disperato bisogno di calore.
La pelliccia, a volte, non basta proprio.

Ogni tanto, è bello disquisire con Baudelaire.

venerdì 5 marzo 2010

Limitless undying love which shines around me like a million suns, it calls me on and on across the universe.

La scenografia è sparita sotto una coltre di fumo grigio-spento. Un sipario piuttosto triste, dopo giorni di commedia.
Il tetto del teatro ha qualche tegola in meno così che, ad ogni acquazzone, un po' d'acqua finisce per picchiettare anche sul palco.
La sceneggiatrice è seduta per terra. L'acqua scivola sulle spalle. I fogli si bagnano. Pozzanghere di lucida angoscia disseminate per la sala. Le luci spente. Tutte, tranne quella sopra la sua testa, che è grande, ma riesce ad illuminarla meno di una lampadina rotta e che funziona a intermittenza. Un intenso odore di scatoloni impolverati inonda la sala e la fa starnutire.
Per alcune allergie non c'è cura... Ma quelle scatole le lascia lì, perché sembra essere la via più facile: pulirle comporterebbe troppo tempo ed una vicinanza controproducente. Una vicinanza che normalmente potrebbe evitare. E poi, quelle scatole le vede solo sporadicamente: che senso avrebbe spendere tutte quelle energie, solo per qualche raro e breve momento di apnea? Dopotutto, se esce all'aria aperta, con il taccuino e l'ombrello, può riprendere a respirare. Lentamente, certo; ma può farlo.
Allora perchè aspettare?
Ci sono mostri all'opera, per le strade.
Lei si ferma per qualche istante.
La pioggia scroscia forte sull'ombrello bucato e le gocce rimbalzano sul casco da astronauta che si porta sempre dietro.
Le nuvole non si vedono o ce n'è una unica?
Gli alberi si piegano e i grattacieli li seguono.
Sono scivoli pericolosi, che portano sull'erba bagnata e su un asfalto che ormai conosce a memoria.
Cade anche del cotone.
Povera sceneggiatrice, con quell'ombrello rotto si prenderà sicuramente un raffreddore.
Poco male... Non fosse che certi eventi atmosferici portano pensieri pesanti; troppo pesanti per essere affrontati con una misera giacca ed un casco per l'universo.
Fa la stessa strada ad occhi chiusi, con la bocca tappata. Lo fa da qualche anno ormai, ma in quelle condizioni riesce a pensare solo a poche cose.
Sospira all'angolo della strada e, vicina ad uno specchio sull'asfalto, si accende una Winston.
Che sceneggiatrice malinconica e solitaria.
Passa inosservata nelle vie deserte di una città monotona e grigio topo: così triste che l'abbandonerebbe su due piedi, senza pensarci.
Alza gli occhi con flemma e sorride al cotone di Marzo. Perché non dovrebbe cadere. E perchè il suo modo di farlo è bizzarro e senza regole.
Poi su quel percorso monotono e melmoso, nota per la prima volta qualcosa di diverso.
Su quel percorso incontra un lupo accovacciato sotto ad una panchina.
Per la prima volta - sorride - ha di fronte un bivio, la possibilità di scegliere, cambiare percorso, rallentare la marcia, fermarsi.
Freno e frizione.
Freno e frizione.
I lupi mordono, è vero. E il bivio sta nel passare avanti, incurante del cambiamento; o fermarsi senza aver paura dei graffi e dei morsi che quello sconosciuto potrebbe darle.
I lupi mordono, è vero; ma se li guardi negli occhi e fai capire loro che non hai alcuna paura del loro fiero e impassibile silenzio, allora si arrendono.
Non pretendono granché, se non la presenza del tuo odore che parla molto meglio della tua bocca. Che dice molto più delle tue parole.
I lupi sono artisti critici, decadentisti profondi. Se sai ascoltarli, ti regalano intere enciclopedie zeppe di poesie.
Il fatto è che non tutti li ascoltano.
E chi non la fa, è poi lo stesso che invece crede di avere l'arte necessaria per arrivare al senso di ogni parola, di ogni silenzio. E invece si ferma alla mera superficialità, la mera facciata, la prima buccia che si può vedere dall'esterno.
La sceneggriatrice si ferma e sta lì. In silenzio, si siede sulla panchina bagnata su cui non smettono di cadere lacrime e cotone.
Toglie il casco e lo appoggia sulle gambe; ma tiene l'ombrello ben saldo.
Ha dei buchi, è vero, ma è comunque una magra difesa dall'alluvione.
Il lupo sporge cauto il muso dalla panchina e appare di fianco alle sue gambe.
"Dovrai uscire, prima o poi...", gli dice.
E allunga una mano nella sua direzione.
Non la muove.
Sta solo lì, ferma a mezz'aria. Un invito, non una forzatura.
Il lupo s'arresta.
Indetreggiare o andare avanti?
Rimanere sulla difensiva o rischiare di brutto?
Passa il muso sotto la mano della sceneggiatrice, con una lentezza inaudita. E' ancora fortemente difeso dalla panchina, ma si lascia accarezzare.
Una zampa fuori. Le altre tre ben salde nell'alcova che lo protegge cautamente.
Guarda la donna con la sigaretta e con gli occhi sembra sorriderle.
Un tiro a pieni polmoni.
"...ti aspetterò, fino a rivedere il sole."