mercoledì 10 marzo 2010

"Il genio delle masse", di Charles Bukowski.



"C'è abbastanza perfidia, odio, violenza, assurdità,
nell'essere umano medio,
per fornire qualsiasi esercito in qualsiasi
giorno.

E i Migliori Assassini Sono Quelli
Che Predicano Contro.
E I Migliori a odiare sono quelli
che predicano AMORE
E i migliori in guerra
- In definitiva - Sono quelli che predicano PACE

Quelli Che Predicano DIO,
hanno bisogno di Dio.
Quelli Che Predicano Pace,
non Hanno Pace.
Quelli Che Predicano Amore
non Hanno Amore.

ATTENTI AI PREDICATORI
Attenti ai sapienti.
Attenti a quelli che
LEGGONO SEMPRE LIBRI
Attenti a quelli che o detestano
la povertà o ne sono orgogliosi
ATTENTI a quelli pronti ad elogiare
Poichè Hanno Loro Bisogno Di ELOGI In Cambio
ATTENTI a quelli pronti a censurare:
Hanno Paura di quello che non sanno
ATTENTI A Quelli Che Cercano Continuamente
La Folla;
Da Soli Non Sono Nessuno

ATTENTI:
Agli Uomini Comuni
Alle Donne Comuni
ATTENTI Al Loro Amore
Il Loro E' Un Amore Comune, Che Mira
Alla Mediocrità.

Ma C'è Il Genio Nel Loro Odio
C'è abbastanza Genio Nel Loro
Odio Per Ucciderti, Per Uccidere
Chiunque.

Non Volendo La Solitudine
Non Concependo La Solitudine
Cercheranno Di Distruggere
Tutto Ciò che si Differenzia Da Loro Stessi

Non Sapendo Creare arte
Non Capiranno l'arte

Considereranno Il Loro Fallimento
Come Creatori
Solo Come Un Fallimento
Del Mondo

Non Essendo In Grado Di Amare Pienamente
Crederanno Il Tuo Amore Incompleto

E POI ODIERANNO TE.

E Il Loro Odio Sarà Perfetto:

Come un diamante Splendente,
Come un coltello,
Come una montagna,
Come una tigre,
Come cicuta,

La Loro arte più raffinata".


_____________

Nb. Oggi ho scelto l'argomento per la tesina. E questa poesia non mancherà di certo.

lunedì 8 marzo 2010

I gatti cadono sempre in piedi.


Pur preferendo la prosa, anche i gatti sanno essere discreti poeti decadenti.

Si fanno ammaliare da parole colorate come sangue e tulipani da fumare.
Amano il sole, ma vi si nascondono. Amano la notte, ma da essa fuggono.
Scrivono con le unghie uragani di parole, sputano simboli e collegamenti che nella loro testa hanno tutto quel senso che specchi esterni non sanno riflettere, in tutta la loro retorica stranezza. Sputano parti di loro che le reti bucate della maggior parte dei pescatori non possono trattenere.
Cadono sempre in piedi. Sia letteralmente che metaforicamente.
Utilizzano linguaggi del tutto particolari. Il linguaggio del corpo, in primis. E gli occhi hanno il primato.
Quando compongono, hanno bisogno di una solitudine tutta loro, composta solo di profumi inebrianti e note di violino e pianoforte, che creano l'atmosfera adatta alla creazione di un nuovo miagolio storto e stonato.
Non parlano delle loro conclusioni con nessuno.
E quando miagolano, è per attirare l'attenzione di chi - secondo loro - è in potenza di capire le varie musicalità e tutti i possibili ritmi delle loro rime.
E sfuggono alla semplicità, si buttano di testa e di pancia su cose sconosciute.
Bramano la libertà, l'indipendenza, ma hanno un disperato bisogno di calore.
La pelliccia, a volte, non basta proprio.

Ogni tanto, è bello disquisire con Baudelaire.

venerdì 5 marzo 2010

Limitless undying love which shines around me like a million suns, it calls me on and on across the universe.

La scenografia è sparita sotto una coltre di fumo grigio-spento. Un sipario piuttosto triste, dopo giorni di commedia.
Il tetto del teatro ha qualche tegola in meno così che, ad ogni acquazzone, un po' d'acqua finisce per picchiettare anche sul palco.
La sceneggiatrice è seduta per terra. L'acqua scivola sulle spalle. I fogli si bagnano. Pozzanghere di lucida angoscia disseminate per la sala. Le luci spente. Tutte, tranne quella sopra la sua testa, che è grande, ma riesce ad illuminarla meno di una lampadina rotta e che funziona a intermittenza. Un intenso odore di scatoloni impolverati inonda la sala e la fa starnutire.
Per alcune allergie non c'è cura... Ma quelle scatole le lascia lì, perché sembra essere la via più facile: pulirle comporterebbe troppo tempo ed una vicinanza controproducente. Una vicinanza che normalmente potrebbe evitare. E poi, quelle scatole le vede solo sporadicamente: che senso avrebbe spendere tutte quelle energie, solo per qualche raro e breve momento di apnea? Dopotutto, se esce all'aria aperta, con il taccuino e l'ombrello, può riprendere a respirare. Lentamente, certo; ma può farlo.
Allora perchè aspettare?
Ci sono mostri all'opera, per le strade.
Lei si ferma per qualche istante.
La pioggia scroscia forte sull'ombrello bucato e le gocce rimbalzano sul casco da astronauta che si porta sempre dietro.
Le nuvole non si vedono o ce n'è una unica?
Gli alberi si piegano e i grattacieli li seguono.
Sono scivoli pericolosi, che portano sull'erba bagnata e su un asfalto che ormai conosce a memoria.
Cade anche del cotone.
Povera sceneggiatrice, con quell'ombrello rotto si prenderà sicuramente un raffreddore.
Poco male... Non fosse che certi eventi atmosferici portano pensieri pesanti; troppo pesanti per essere affrontati con una misera giacca ed un casco per l'universo.
Fa la stessa strada ad occhi chiusi, con la bocca tappata. Lo fa da qualche anno ormai, ma in quelle condizioni riesce a pensare solo a poche cose.
Sospira all'angolo della strada e, vicina ad uno specchio sull'asfalto, si accende una Winston.
Che sceneggiatrice malinconica e solitaria.
Passa inosservata nelle vie deserte di una città monotona e grigio topo: così triste che l'abbandonerebbe su due piedi, senza pensarci.
Alza gli occhi con flemma e sorride al cotone di Marzo. Perché non dovrebbe cadere. E perchè il suo modo di farlo è bizzarro e senza regole.
Poi su quel percorso monotono e melmoso, nota per la prima volta qualcosa di diverso.
Su quel percorso incontra un lupo accovacciato sotto ad una panchina.
Per la prima volta - sorride - ha di fronte un bivio, la possibilità di scegliere, cambiare percorso, rallentare la marcia, fermarsi.
Freno e frizione.
Freno e frizione.
I lupi mordono, è vero. E il bivio sta nel passare avanti, incurante del cambiamento; o fermarsi senza aver paura dei graffi e dei morsi che quello sconosciuto potrebbe darle.
I lupi mordono, è vero; ma se li guardi negli occhi e fai capire loro che non hai alcuna paura del loro fiero e impassibile silenzio, allora si arrendono.
Non pretendono granché, se non la presenza del tuo odore che parla molto meglio della tua bocca. Che dice molto più delle tue parole.
I lupi sono artisti critici, decadentisti profondi. Se sai ascoltarli, ti regalano intere enciclopedie zeppe di poesie.
Il fatto è che non tutti li ascoltano.
E chi non la fa, è poi lo stesso che invece crede di avere l'arte necessaria per arrivare al senso di ogni parola, di ogni silenzio. E invece si ferma alla mera superficialità, la mera facciata, la prima buccia che si può vedere dall'esterno.
La sceneggriatrice si ferma e sta lì. In silenzio, si siede sulla panchina bagnata su cui non smettono di cadere lacrime e cotone.
Toglie il casco e lo appoggia sulle gambe; ma tiene l'ombrello ben saldo.
Ha dei buchi, è vero, ma è comunque una magra difesa dall'alluvione.
Il lupo sporge cauto il muso dalla panchina e appare di fianco alle sue gambe.
"Dovrai uscire, prima o poi...", gli dice.
E allunga una mano nella sua direzione.
Non la muove.
Sta solo lì, ferma a mezz'aria. Un invito, non una forzatura.
Il lupo s'arresta.
Indetreggiare o andare avanti?
Rimanere sulla difensiva o rischiare di brutto?
Passa il muso sotto la mano della sceneggiatrice, con una lentezza inaudita. E' ancora fortemente difeso dalla panchina, ma si lascia accarezzare.
Una zampa fuori. Le altre tre ben salde nell'alcova che lo protegge cautamente.
Guarda la donna con la sigaretta e con gli occhi sembra sorriderle.
Un tiro a pieni polmoni.
"...ti aspetterò, fino a rivedere il sole."